I
miti e i sogni infranti di Edoardo Baraldi.
Seguo
da mesi, giorno dopo giorno, le produzioni
artistiche di Baraldi che riesce, ad ogni nuova
immagine, a incentivarmi e a stupirmi. I suoi
lavori consentono di entrare in un originale
“racconto” di vita privata e pubblica, che
vorticosamente rimbalza, attraverso continue
mutazioni evolutive, dal sociale al privato, dal
mito alla cruda realtà… dal surreale… alla
satira corrosiva… senza orpelli e… “aggettivi”.
In
una sintesi davvero invidiabile, Baraldi narra del
nostro disagio dentro un periodo storico così
tragico che neppure i più pessimisti scrittori di
horror avrebbero mai potuto immaginare.
Lo
fa con la mano sofisticata e veggente del vero
artista che arriva a scorgere quello che si cela
dietro i muri delle apparenze, dei dogmi, delle
realtà prestabilite, del già detto e del già
visto.
Corre
da solo contro impervie rapide, attento a
visualizzare il punto focale dei suoi vari assunti
senza nulla concedere, senza mai
preoccuparsi di essere andato oltre… o di
aver leso i molti tabù che ci circondano.
Le
sue raffinate manipolazioni fotografiche (e qui
parliamo di arte, lasciando ai noiosi accademici
l’analisi di questa parola spesso adoperata a
sproposito) raggiungono una tecnica davvero
straordinaria e ci conducono per mano facendoci
conoscere le atrocità del potere, la falsità
nella quale siamo immersi, la paura, l’angoscia
che attanaglia tutti i bipedi pensanti, la totale
carenza dell’informazione, l’erotismo dominato
da uno strisciante e luccicante spettacolo
mediatico da parte di chi ci comanda.
Baraldi
chiama in prima linea la chiesa, lo stato,
l’arroganza dei politici,
il farisaico
travestimento di chi enuncia concetti
edificanti, la prepotenza divenuta, dal micro al
macro, un modo di essere, il femminile
(nonostante tutte le lotte
dell’ineludibile Femminismo) visualizzato come
“Barbie” o come carne da macello in vendita,
l’arte stessa asservita e mercificata, il fatto
che ognuno di noi (almeno tutti quelli che non si
genuflettono in nessuna situazione) non trovi un
luogo nel quale sentirsi a proprio agio.
Difficile
la comunicazione, difficile estrinsecare un
pensiero innovativo che trovi corrispondenze…
difficile vivere in questa palude del nulla.
Baraldi
visualizza il grande nulla, il proprio e il nostro
inconscio, la linea d’ombra che ci accompagna a
ogni passo. Percepisce che siamo su un pericoloso
crinale e in una forma del tutta sua in qualche
modo ci avverte, ci sprona a cambiare rotta.
C’è
un immenso vuoto da riempire.
Ma
che cosa mettiamo in questo vuoto?
O
lasciamo il vuoto-vuoto dello Zen e usciamo dalla
vita… oppure?
La
risposta, forse, ce la fornisce lo stesso Baraldi
con il suo eterno “dubbio”. Dubbio come
maestro di vita; dubbio che rivela
l’inconsistenza delle nostre piccole o grandi
verità.
Di
fatto non capiamo quasi nulla di quello che ci
circonda. Ogni tanto percepiamo strade possibili
che spesso ci deludono e ci scoppiano tra le
mani…
In
realtà tutto sta scoppiando: dal nostro pianeta a
noi stessi e il tempo ha subito una pericolosa
accelerazione, a detta anche degli stessi
scienziati…
Baraldi
conosce bene la fatica del vivere e il dolore che
ogni specchio ci rivela. Non a caso ci mostra
volti senza occhi, volti senza bocca… visi che
appunto non possono più parlare e urlare il loro
dissenso… oppure ci conduce in piazze-prigioni
dove non è più possibile uscire… in campi di
concentramento del nuovo millennio nei quali
uomini e donne robotici non si riconoscono più…
divengono materia organica per discariche sempre
aperte…
Tutti
noi ci siamo travestiti, guardiamo noi stessi come
sconosciuti… e gli altri spesso come potenziali
nemici… agiamo, parliamo e tramiamo con voci
dissonanti. Avulsi da noi stessi corriamo in ogni
direzione perché non sappiamo più dove andare e
non comprendiamo neppure chi siamo e che cosa la
vita ci chiama a divenire…
Baraldi
ci descrive anche la solitudine imperante
attraverso due “grassoni avviliti”, turisti
per caso che più non si parlano e con sguardi
svuotati sembrano emettere suoni gutturali come primati resi dementi…
o mostra un grande mito del cinema americano che
brinda da sola con dietro una bara… oppure un
uomo di spalle e una donna sotto di lui che non si
sfiorano, ciascuno perso nel dramma di una non
esistenza…Solitudine e disperazione dentro un
mondo glaciale che si fa vanto della propria
distrazione…
Distrazione
che Baraldi pare enunciare come morte del mito.
Mito come punto di riferimento per tutti noi…
Dove
li mettiamo “i sogni deflagrati” buttati negli
aurei recipienti di ogni potere?
Che
cosa rimane di un essere umano quando non resta più
niente?
Ecco,
tra i molti, uno dei
grandi meriti di Baraldi: il fatto che la sua arte
ci induce a porci delle domande, a fare in qualche
modo i conti con noi stessi.
Nella
satira, l’artista continua il suo discorso di
presa di coscienza di tutto quello che ci tocca
subire. Segue in modo del tutto autonomo la
politica, scava nei meandri dell’osceno panorama
che i potenti della terra ci offrono. Spara duro
contro tutti i politici italiani e stranieri del
nostro tempo e non risparmia i Signori in Nero
delle multinazionali e della guerra. I suoi
“politici-politicanti” che non parlano più in
politichese ma in compenso adoperano un linguaggio
becero, inesistente, si muovono come
burattini-servi di un padrone o di vari padroni
burattinai che ordiscono trame dentro un grande
circo, nei meandri del teatro della crudeltà… e
della “banalità del male”… Fantasmi senza
corpo, con il cervello abbandonato in qualche
villaggio del benessere, tessono ragnatele sempre
più fitte dentro maschere svuotate di ogni
significato. Zombi del passato-presente
avanzano… e si riciclano continuamente come i
personaggi virtuali del film Matrix… Non
esistono ma la loro presenza da ologrammi sta
distruggendo il mondo.
Baraldi
in molte sue immagini non dimentica lo sguardo
dell’abile architetto che è in lui e che tanto
si è adoperato e si adopera in prima persona (e
in dure lotte contro i manipolatori prezzolati)
per creare case, scuole, edifici che tengano conto
dell’ambiente, del valore di abitare finalmente
in luoghi dove l’umano non sia straniato da se
stesso e da chi lo circonda. Con questo sguardo
che ora si innesta, purtroppo, nella grande utopia
negata, l’artista buca lo schermo e la pagina
con altri fantasmi che incorporano nei loro occhi
le immagini di forme architettoniche, private
dell’estetica, dell’etica, della funzionalità
del loro peculiare senso di esistenza e di
appartenenza… L’essere umano di fatto vive in
lager-prigioni senza – nella maggioranza dei
casi – consapevolezza alcuna… e riflette in
mille finestre che guardano altre finestre vuote
l’insipienza dell’esistere in una specie di
morte apparente.
Chi
guarda chi? E’ l’edificio che si
antropomorfizza, stufo della sua inadeguatezza…
o siamo noi stessi che ci trasformiamo in mattone,
in trave, in capitello perché non riconosciamo
neppure più il nostro corpo… che cammina in
strade desolate dove tutti parlano una lingua
straniera?
Baraldi
ha il coraggio, dunque, di mettersi a nudo e,
identificandosi con una visione apocalittica che
risponde alla situazione di massacri e iniquità
che il globo ci regala, scrive – attraverso le
sue visioni – la storia di questi ultimi anni.
Spesso,
in una sola immagine esprime più contenuti e
riflessioni di un tomo di critica social-politica,
costruito sulle parole…
E’
indubbia, a mio avviso, la genialità
d’espressione di Edoardo Baraldi che dovrebbe
godere di un plauso sempre più allargato, di
libri che fermino sulla pagina la maratona delle
sue creazioni che ampliano la mente, incitano alla
creatività, ci permettono di riflettere e
di condividere a tutto campo (ciascuno
nella propria personale originalità) la via che
questo artista ha intrapreso.
Marilde
Longeri
Dicembre
2003 - (Copyright
Marilde Longeri) |